TURSI, il paese che dava il respiro del cielo

«Com'agghi' 'a fé, Maronna mèie, / com'agghi' 'a fé? / L' agghie lassète u paise / ca mi davìte u rispire d'u céhe, / e mò, nda sta citète, / mi sbàttene nd'u musse schitt'i mure, / m'abbrucuuìne i cose e tanta grire / com'a na virminère.[..]»

Un’invocazione alla Vergine apre il via a una delle tante liriche del ricordo. Una poesia esistenziale, in cui memoria del passato e scavo interiore si intrecciano continuamente. «Ho lasciato il paese che mi dava il respiro del cielo» scrive Albino Pierro, due volte candidato al Nobel per la letteratura. Quel paese, che gli ha dato i natali, è Tursi. Tursi giallo ocra. Argilla e calcare insieme. La ricetta perfetta di perpetua instabilità.

Un patrimonio culturale vastissimo. Dal castello gotico, scheletri, tombe, monete e anfore; sino alla Rabatana, il nucleo abitativo del centro storico. Attorno, schierati in una naturale quanto inaccessibile difesa, profondi burroni. Una sorta di roccaforte costruita dal tempo, raggiungibile attraverso una gradinata ampia e ripida, che si estende sui precipizi. Una realtà da scoprire a piccoli a passi e che lascia, letteralmente, senza fiato.

SIMONA PELLEGRINI